Il Blog Italiano Interamente (o quasi) dedicato alle Tradizioni e ai Riti Neopagani Celtici e Indo-Europei

mercoledì 2 maggio 2012

Falsi assiomi e verità di per se stesse evidenti


Qualche tempo fa accadde che trovai in un luogo remoto un antichissimo codice redatto da un popolo sconosciuto. Non sapendo tradurre lo scritto né tanto meno leggere quello strano alfabeto ma essendo curiosa di sapere cosa esso celava, decisi di rivolgermi ad un esperto di lingue antiche. Inviai dunque il documento ad uno studioso cinese che lavorò su di esso per alcuni mesi. Decifrò il testo e lo tradusse poi nella sua lingua in maniera piuttosto letterale, modificando piccolissimi particolari in modo tale da rendere alcuni passaggi – soprattutto quelli simbolici o metaforici – più comprensibili secondo la sua cultura. Tenne per sé il testo originale e mi inviò quello tradotto in cinese.
Purtroppo non conosco il cinese, per cui dovetti far tradurre quella traduzione.
L’unica persona in grado di comprendere il cinese che riuscii a contattare, all’epoca, fu un indiano. Esso prese con sé il testo cinese, traduzione lievemente corrotta dell’antico codice, e lo tradusse nella sua lingua. Anch’egli, non comprendendo appieno il significato di alcune metafore e non trovando il senso di alcune simbologie, le mutò per renderle più accessibili secondo la sua cultura. Tenne per sé il testo cinese e mi restituì quello in sanscrito.
Non conoscendo neanche il sanscrito, dovetti far tradurre d’accapo il testo.
Uno studioso arabo prese con sé il testo sanscrito e lo tradusse nella sua lingua, modificando anch’egli simboli e metafore per renderli chiari secondo la sua cultura.
Non conoscendo l’arabo, affidai il testo ad uno studioso greco che però lo tradusse nella sua lingua e secondo la sua cultura.
Dal greco, il testo venne poi tradotto in inglese, ove le metafore e le simbologie mutarono ancora un poco e da lì, finalmente, ottenni la traduzione italiana che potei dunque leggere.
Ciò che ebbi tra le mani era però la reale traduzione dell’antico e sconosciuto codice o l’interpretazione di una interpretazione di una interpretazione e così via? Ovvero: avrei mai potuto comprendere appieno il vero significato simbolico contenuto nelle metafore o ne avrei avuto una traduzione corrotta e guastata dall’influenza culturale di tutti quegli uomini che avevano messo mano al testo?
Ovviamente la seconda.
La stessa cosa accade quando si parla di concetti metafisici. La pretesa di giungere ad una verità partendo però da ciò che altri hanno scritto intorno a tali concetti è essenzialmente errata. Basta infatti un solo errore, una sola interpretazione sbagliata, una sola metafora mal compresa per alterare irrimediabilmente il senso delle cose.
Ciò accade anche con le frasi più semplici che, se mal tradotte o male interpretate, finiscono per significare addirittura l’opposto di ciò che in realtà si voleva dire.
Ad esempio: la sottoscritta si annoia indicibilmente nel discutere con una persona inglese e, sottovoce, dice di lui in italiano che “è una palla”. L’inglese in questione traduce mentalmente questa frase “you are a ball”, la intende in senso letterale, e pensa di conseguenza che ho le rotelle fuori posto. È ovvio che il tizio non è una palla ma una persona! Questo è il primo caso di una traduzione scorretta. Se poi volessimo aggiungere che il tizio inglese ha una concezione pitagorica della vita, in tal caso l’essere definito “una palla” ovvero “una sfera”, lo porterebbe a credere che la sottoscritta ha inteso dire di lui che “è perfetto”. Ed ecco come un “sei noioso” si trasforma in “sei perfetto”.
In via definitiva, non si può pensare di giungere all’esatta natura delle cose partendo dall’interpretazione che diverse culture hanno avuto di quelle medesime cose. Bisogna prima liberarsi dell’influenza culturale, fare il vuoto nella mente, cancellare completamente tali concetti per poi tentare – spesso fallendo ma sapendo di essere fallibili – di comprenderli nella maniera più neutrale possibile. Come? Nella maniera più socratica possibile.
Io so di non sapere. E so che anche gli altri non sanno. So però che posso osservare e so di avere una mente in grado di elaborare i concetti. So che potrei sapere se solo smettessi di sapere ciò che altri mi hanno detto che dovrei sapere. So che posso sapere solo se non so nulla.
Poco me ne cala, in parole povere, di ciò che eminenti studiosi hanno tra virgolette scoperto o compreso perché so, e non può essere negato, che tali scoperte partono sempre e solo da rielaborazioni di pensieri più antichi i quali, a loro volta, sono stati influenzati da elaborazioni precedenti che forse, chissà dove, nascondono un singolo, invisibile frammento di una verità più grande.
Immaginando che in tempi remotissimi un popolo fosse realmente in possesso di una verità assoluta, quanta di questa verità è giunta incorrotta fino a noi? Esattamente come il testo antico del primo esempio: ben poca. Il più si è perso o è stato alterato a tal punto da risultare incomprensibile o, peggio, fuorviante.
La prova evidente di ciò risiede tra le pagine di diversi libri che ho in questi anni preso in esame: poche verità immerse in una marea di – perdonatemi – cavolate evidentemente di chiara matrice cristiana che, di per sé, riassume elementi ellenici provenienti non solo dal contatto dei primi cristiani con Roma stessa ma persino portati alla fu nuova religione dalla più “vecchia” ebraica il cui popolo, in tempi remoti, prese in sé elementi greci, persiani, assiri e babilonesi; questi ultimi avevano già reinterpretato concetti e simboli sumeri, già presenti nell’ebraismo originario mentre l’influenza persiana si riscontra nel dualismo bene-male presente in massima parte nel cristianesimo e in minima parte nei posteriori concetti cabalistici ebraici. Il risultato? Un guazzabuglio di idee contrastanti che sempre più si allontanano dalla realtà dei fatti.
Partendo da questa macedonia di idee, preconcetti e rielaborazioni, moltissimi eruditi hanno la pretesa di giungere alla verità finale. Assurda speranza, oserei dire. Almeno, finché tutte le cose dette in passato vengono prese per buone nel presente. Ovvero, finché concetti chiave vengono copiati o reinterpretati invece di essere più logicamente spogliati di ogni valenza culturale per essere meglio compresi. Un po’ come il povero Tolomeo che tentò di spiegare il moto dei pianeti partendo dall’idea di Aristotele. Se avesse saputo che Aristotele aveva dato più peso ad una boiata piuttosto che ad una verità, probabilmente secoli di falsi insegnamenti sarebbero stati risparmiati al genere umano e Galileo non si sarebbe ritrovato davanti al tribunale dell’Inquisizione per abiurare. E scusate se è poco.
Purtroppo, partire dal nulla assoluto davvero non si può. In un modo o nell’altro si finisce sempre per ragionare attorno a ciò che è stato detto da altri, a riflettere su concetti preesistenti, a ricercare la luce della verità in mezzo agli abissi delle leggende popolari. E ogni leggenda, per quanto assurda sia, ha in se un minuscolo seme di verità.
Uno dei testi maggiormente presi in esame è senza dubbio la Bibbia.
Scritto da un popolo semita che ha subìto influenze sumeriche ed egizie in un primo tempo, che ha reinterpretato concetti ellenici (dunque greci, persiani e indiani in massima parte) in un secondo tempo, che ha rielaborato mitologie babilonesi nella sua fase “finale”, tale libro è poi passato sotto il “dominio” e la “revisione” di una società tendenzialmente politeista che riuniva in sé concetti dualistici di chiara matrice zoroastriana come la dicotomia bene-male non riscontrabile in alcun modo in tutto l’Antico Testamento, è forse il testo più corrotto a causa delle svariate traduzioni, più complesso a causa dei suoi simbolismi, più antico in quanto porta con sé frammenti di idee appartenenti alle prime culture umane, più studiato e meno compreso di tutti. Una vera sfida riuscire a trarne qualcosa di sensato... sempre se non si vuole dare credito a tutto quello che è stato già detto.
Se si volesse dar credito alle narrazioni bibliche del Nuovo Testamento si dovrebbe credere che oltre una divinità creatrice ritenuta “onnipotente” e “assolutamente buona” ne esista una ugualmente forte ma di natura malevola.
Logicamente impossibile.
Poniamo il caso di un pittore che ha di fronte a sé una tela bianca e che ha a sua disposizione solo due colori: il rosso e il blu. Con tali colori egli decide di dipingere un paesaggio: colline, montagne, cielo, nuvolette, prati e sole che brilla. Ora: di che colore sarà l’erba? Sbagliato: il verde non può esistere e neanche il sole sarà mai giallo.
Se per puro caso quel quadro diventasse un universo a sé, chiunque abitasse quel paesaggio potrebbe conoscere il colore giallo? Ovviamente no, così come non possiamo conoscere l’esatta sfumatura di un colore mai visto o il sapore di un cibo mai gustato.
Allo stesso modo, se la divinità creatrice fosse totalmente buona, avrebbe creato solo il bene, per cui sentimenti quali odio, invidia, bramosia e orgoglio non solo non esisterebbero ma nemmeno potrebbero essere pensati.
La teoria secondo la quale una “ribellione” sarebbe all’origine della “caduta di Lucifero” perde ogni valore logico se si vuole credere che la divinità è solamente buona.
Alla luce di ciò, se non si vuole rinunciare all’idea di una divinità totalmente buona, deve per forza di cose esistere una seconda divinità dalla quale è nato il “male”.
Ciò pone però un problema: se la divinità creatrice è una come affermano i testi biblici e la tradizione religiosa, allora una seconda divinità creatrice non può esistere; se invece si hanno due divinità creatrici ugualmente potenti, nessuna delle due può essere “onnipotente” perché in ogni modo l’una può contrastare l’altra.
Se vogliamo continuare a speculare sulla letteratura biblica, direi di sfogliare il Vecchio Testamento fino al libro dei Numeri dove, in versione originale ebraica, al capitolo 22, ci si imbatte per la primissima volta in un termine noto alla cultura cristiana: “Satan”. Il bello qui è leggere cosa sta facendo “Satan” (l’avversario) e per conto di chi: non sta tentando un virtuoso per allontanarlo dalla divinità bensì, per conto della divinità stessa, sta impedendo ad un certo Bal’am di gettare una maledizione sul popolo di Israele.
Sta dunque lavorando per la divinità e non contro di essa.
Ecco fatto: primi segnali che quanto si legge sulla tanto sbandierata “ribellione” e sulla pretesa che il Satan sia “avversario della divinità” è niente più che una boiata alimentata dall’influenza dualistica zoroastriana.
Colpo di grazia alla presunta “assoluta bontà” del divino la si trova in un versetto del libro di Isaia (45,7) dove tale divinità dice chiaramente di sé: “Io formo la luce e creo l’oscurità, io faccio la pace e creo il male: io sono Dio e causo tutte queste cose.”
Inutile dire a questo punto che forse ci siamo persi qualche passaggio quando abbiamo creduto ciecamente alle storie narrate dai parrini attorno al fuoco.
Forse – e dico forse – i concetti che abbiamo della divinità in sé, del bene e del male, sono leggermente errati e forse – dico sempre forse – andrebbero riconsiderati alla luce della ragione logica piuttosto che alle tenebrose elucubrazioni di svariati studiosi tesi solo a rielaborare idee stantie.

1 commento:

  1. Cm sempre senza fiato... sentirti parlare è una cosa ma leggerti è tt altro! Ti spiace se t kiedo di continuare cn questi post? Magari xò cambia il colore del testo xkè mi ballavano gli okki! ^^ P.S. se potessi postare la tua "difesa a Satana" mi faresti un favorissimo ke c'è gente a cui dv farla assolutamente leggere!! XOXOXO!!

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